La formazione 1946 - 1956
Carlo Guarienti nasce a Treviso il 28 ottobre 1923. La famiglia e originaria di Verona e Guarienti trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra queste due città, sensibile da subito al fascino della storia raccontata dai loro palazzi e monumenti.
Grazie a uno zio, che si diletta di scultura e dal quale eredita il forno, all’età di quindici anni scopre la creta e plasma le prime opere; a venti già disegna e dipinge e, dopo la licenza liceale, si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Padova. Nel 1942 si reca a Firenze, dove realizza le prime incisioni e dove ritorna nel 1944, quando sono chiamati alle armi anche gli studenti di medicina in corso. Tra il 1944 e il 1945 lavora come preparatore di anatomia artistica per l’Accademia di Belle Arti e si interessa alla psicoanalisi grazie alla divulgazione dell’opera di Sigmund Freud intrapresa da Enzo Bonaventura. Nel 1946 torna a Treviso. Qui realizza un gruppo di nature morte e di ritratti e alcune opere, che sono tra le più significative della sua prima attività: San Gerolamo (fig.1) e Il guerriero (fig.2). Il primo, caratterizzato da una personale rielaborazione del Quattrocento padano (da Squarcione a Mantegna, da Ercole de’ Roberti a Carpaccio) e da una giustapposizione fantastica di elementi insoliti e curiosi, capace di forzare i fondamenti stessi del realismo, viene esposto alle mostre dei Pittori moderni della realtà, tra il 1947 e il 1949. Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni e i fratelli Antonio e Xavier Bueno sono i firmatari del manifesto del gruppo, che si pone in aperto conflitto con l’arte astratta e le correnti informali sorte in quegli anni.
Dopo la mostra, Guarienti prende le distanze da Sciltian, per volgersi allo studio delle antiche tecniche di pittura, in sintonia con la contemporanea ricerca del Pictor Optimus (Omaggio a de Chirico, 1948), che conosce a Roma nel 1949 e il cui debito e ben riconoscibile nell’Autoritratto (fig.3) dello stesso anno: il primo di una lunga, ininterrotta serie di autoritratti attraverso i quali Guarienti continuerà, anche in seguito, a interrogarsi sulla propria identità, sul carattere e il senso dei propri meccanismi creativi. In quello stesso anno, il 1949, si laurea e da questo momento si dedica esclusivamente alla pittura, ma gli studi in medicina rimarranno, comunque, un elemento fondante della sua formazione. Grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri soggiorna tre mesi in Spagna, al Prado di Madrid ammira la pittura di Tiziano, Velázquez, Zurbarán, come suggerisce la Natura morta del 1950 (fig.4).
In estate espone all’Antibiennale, organizzata da de Chirico nei locali della Società Canottieri Bucintoro a Venezia, con Il guerriero, in cui rende omaggio, nella posa del personaggio e nella vegetazione del paesaggio, al Cavaliere di Carpaccio (c. 1505, Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza). L’anno dopo, nel 1953, Guarienti organizza la sua prima mostra personale, ospitata dalla Galleria L’Obelisco di Roma e seguita dalle personali alla Galerie Weill di Parigi, città in cui da questo momento si reca regolarmente, e alla Galleria del Naviglio a Milano, presentate da Jacques Audiberti. Nel 1954 esce la prima monografia a lui dedicata firmata da Giovanni Comisso, allora animatore della vita culturale di Treviso e sostenitore di giovani talenti.
La svolta surrealista del 1956 e gli anni Sessanta
Stimolato dalla lezione del conterraneo Arturo Martini, ma anche dalla lettura di autori quali Ezra Pound, Marcel Proust, Italo Svevo, Robert Musil e naturalmente Freud, Guarienti elabora una poetica fantastica e visionaria che Patrick Waldberg definirà “surrealista”, testimoniata dall’opera Nascita di una natura morta (fig.5) apparsa nel 1956, in un momento in cui in Italia domina l’astrattismo. Quello stesso anno partecipa alla XXVIII Biennale di Venezia (Natura morta con pesci, Testa di donna, Suonatore, 1955) e si trasferisce definitivamente a Roma.
Grazie all’amicizia che lo lega a Giovanni Urbani, segue le attività dell’Istituto Centrale di Restauro, dove apprende le tecniche dello strappo e del restauro degli affreschi e avvia una lunga sperimentazione su tecniche e materiali alternativi, come la tempera all’uovo e il caseato di calcio, affascinato dalla ricchezza di suggestioni e dalle possibilità di immagine che individua nelle superfici dei vecchi muri segnati dal tempo, giungendo a esiti simili, per certi versi, alle tele sabbiate di Franco Gentilini, conosciuto nel 1956 a Venezia in occasione della mostra personale presso la Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo. Mostrano, invece, una certa attenzione al Picasso del “periodo rosa” le opere realizzate tra la fine del decennio e l’inizio del successivo (Ritratto di Delfi, 1959, fig.6; Ritratto di Delfi, 1963, fig.7 ) o quelle esposte alla VIII Quadriennale di Roma nel 1959-60 (La partenza della Luna, Figura (Suonatrice), Figura). Nel 1963 e tra gli artisti selezionati per la Prima Antologica degli artisti romani, che ha luogo a Palazzo delle Esposizioni a Roma (Natura morta) e nel 1965 e chiamato a partecipare alla IX Quadriennale romana, dove espone Susanna e i vecchioni (fig.8) e due dipinti intitolati Paesaggio con figure, nei quali elabora una tecnica mutuata dallo strappo degli affreschi e basata sull’uso di intonaci scrostati, cretti, collage e di una resina sintetica mescolata a colore e sabbia.
Questa ricerca – sottolinea Giorgio Di Genova – sembra, da una parte, «voler ricordare che le origini di tanti esiti dell’Informale erano proprio nel Surrealismo»: nel frottage di Max Ernst e, soprattutto, nei paesaggi ambigui di Yves Tanguy, la cui eco lontana risuona in opere quali La donna e altro, Il giocoliere (1965), Enigma archeologico, L’armadio lilla (1967), Viaggio in una stanza (1968), esposte nel 1968 in occasione della mostra personale alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, presentata da Giuseppe Ungaretti. Dall’altra, essa trova precise connessioni con le contemporanee indagini informali di Alberto Burri e di Antoni Tápies, per il costante riferimento a una materia “sedimentata” e “antigraziosa”. In ogni caso, le atmosfere evocate dalle immagini di Guarienti trovano puntuali riferimenti nella contemporanea produzione letteraria di autori quali Cesare Pavese, Primo Levi, Dino Buzzati, Goffredo Parise, con i quali è in stretto contatto.
Gli anni Settanta
Alla X Quadriennale del 1972 è invitato con un gruppo di cinque opere: Alla ricerca del tempo perduto, David ed io, Autoritratto mascherato o Rebus per un romanzo giallo, Madonna dei topolini (fig.9), Malinconia di un rebus (1971), dove la sua ricerca evolve rapidamente, mossa da una nuova urgenza di plasticità che sembra sottintendere una meditata riflessione sul valore e il senso della scultura, come suggerisce l’Autoritratto del 1972, in cui l’autore si raffigura tra due frammenti di statue. Contemporaneamente, riprende l’attività grafica e, dopo l’illustrazione del Purgatorio per La Divina Commedia curata da Giuseppe Villaroel (Roma, Curcio Editore, 1966), nel 1970 pubblica una prima cartella di cinque litografie, I rebus di Guarienti (Roma, Edizioni dell’Aldina), con prefazione di Raffaele Carrieri (fig.10). La seconda cartella, intitolata Il gioco dell’oltraggio (Milano, Edizioni del Naviglio), e presentata invece nel 1974 da Giovanni Arpino e contiene una serie di omaggi a maestri del passato, come Leonardo, Dürer, Ingres, che rispecchia perfettamente, seppure con diversi mezzi espressivi, la parallela ricerca pittorica volta a ripensare l’arte del passato attraverso il confronto diretto con i suoi maggiori protagonisti. Un confronto cercato anche nel dipinto La Madonna ed io (fig.11), dove il pittore dialoga con l’Annunciata di Simone Martini, oppure nei lavori dell’inizio degli anni Settanta: Omaggio a Ingres (1971); Omaggio a Raffaello (1972); Interno. Omaggio a Stubbs (1972); La Gioconda (1973) e Dürer secondo Zötl, il quale apre la strada al successivo ciclo di lavori. Ispirandosi all’opera di questo artista austriaco di meta Ottocento – già riscoperta da André Breton nel 1956 e pubblicata nel 1965-66 in Le Surréalisme et la peinture – nella seconda metà degli anni Settanta Guarienti organizza un bestiario fantastico di animali rari, inventati, compositi, erede idealmente della zoologia di Jorge Luis Borges e delle iconografie medievali studiate da Jurgis Baltrušaitis, ma anche dei personaggi metamorfici di Alberto Savinio (Omaggio a Savinio, 1975). Un universo mostruoso, che André Pieyre de Mandiargues prontamente definisce la Teratologia di Guarienti (1976). Su commissione di Carlo Cardazzo nel 1975 realizza, un’incisione di grandi dimensioni (cm 180 x 140), Il banchetto, e litografie, serigrafie e incisioni su rame per diverse pubblicazioni. L’ambito in cui si muove Guarienti e, ormai, non solo nazionale ma europeo; oltre alla ormai decennale collaborazione con la Galleria del Naviglio di Milano e con la Galerie Weill di Parigi, dai primi anni Settanta espone presso la Galleria Forni di Bologna e, contemporaneamente, stabilisce rapporti duraturi di lavoro con Claude Jongen a Bruxelles, con la Galerie Zerbib e la Galerie de Sein di Parigi, con la Galerie Le Point di Montecarlo. A Roma, tramite Gentilini, prende uno studio in via Margutta 17, proprio di fronte all’abitazione di Federico Fellini, con il quale stabilisce una vivace frequentazione rinsaldata dalla vicendevole amicizia con Goffredo Parise.
Nel 1976 le immagini di veri e propri segnali stradali prendono il posto, nelle sue opere, delle citazioni classiche dei pittori antichi (fig.12). Con il loro forte potere di sintesi, la capacità rappresentativa e l’immediatezza di comunicazione, questi segni non solo rimandano a un universo logico parallelo alla realtà, ma esprimono nel contempo una condizione di visione tipicamente moderna, che ha i suoi precedenti nella pittura futurista e cubista. Spesso incomprensibili e contraddittori, i segnali stradali di Guarienti rimandano, essenzialmente, all’enigma della scelta, all’incertezza del destino. Con i segnali stradali prendono, alla fine, posto nell’immaginario dell’artista forme geometriche pure e bidimensionali, che egli inizia a indagare nella limpida cubatura spaziale e nella certezza prospettica di alcune composizioni ispirate, nella perfezione formale e nell’impaginazione, alle nature morte di Juan Sanchez Cotán e allo spazio rigidamente delimitato delle scatole metafisiche dipinte da Giorgio Morandi. Inizia da qui una ricerca prospettica e spaziale che si farà più insistita nelle opere successive, sia in chiave scenografica ed evocativa, come accade in Omaggio a Dino Buzzati (1978), autore con cui Guarienti è stato per lungo tempo in contatto; sia sotto forma di dimostrazioni di teoremi matematici, come in Omaggio alla prospettiva dello stesso anno (1978) o nella serie di acquerelli con figure geometriche esposta alla Galerie Krugier di Ginevra nel 1979, dove l’artista sembra voler coniugare insieme l’astrattismo geometrico con il De Divina proporzione di Luca Pacioli. Questi motivi iconografici ritorneranno nelle opere di tutto il decennio successivo, ma trasfigurati da una progressiva rarefazione dell’immagine e della materia.
Dagli anni Ottanta al nuovo millennio
Nei primi anni Ottanta, mentre l’attività grafica prosegue con le illustrazioni per il nuovo libro di André Pieyre de Mandiargues, Crachefeu (Parigi, Editions Nouveau Cercle Parisien du Livre, 1980) e per la raccolta di poesie di Osvaldo Patani Concerto per rane (Milano, Edizioni Upiglio, 1983), la luce diviene il tema portante della ricerca pittorica di Guarienti: una luce mentale, assoluta, di valore simbolico come quella di Piero della Francesca (Natura morta, 1979-80) o, più tardi, di Giorgio Morandi (Natura morta, 1996).
Il problema della luce, presente sin dalla Natura morta del 1950, è ora risolto, da una parte, attraverso il ricorso a un calibrato tonalismo e a una estrema semplificazione delle forme, che valgono ormai solo quali puri pretesti iconici, come si vede nell’Autoritratto del 1981-83 oppure nei più tranquilli ed elementari paesaggi, nei quali – scrive Sgarbi – «ciò che conta non è il variare delle ore, ma il non variare delle forme sotto l’unità della luce». Dall’altra, è risolto attraverso la costante ricerca di una materia che sia strettamente coerente con l’immagine e che, anzi, ne sia parte integrante, come mostra la serie delle Lettere da Treviso, Venezia, Napoli, Lucca, Orbetello, Parma, Roma, Turchia del 1984, caratterizzate da una uniforme preparazione sabbiosa della tela. Attraverso queste superfici opache e scabre Guarienti insegue una pittura legata «ancora ai muri e all’architettura, in quanto [...] frammento di un affresco strappato» (Tapié 1997, pp. 101, 104), memoria di un’utopica arte totale.
Da qui, la sua partecipazione alla mostra Art et Architecture ospitata al Centre Georges Pompidou a Parigi nel 1984; la nascita dei quadri Omaggio a Villa Adriana (1991-93) e il ricorrere del titolo Interno esterno nelle composizioni di meta anni Novanta, ideate come paesaggi con frammenti o rovine di architetture. Il “non finito” e il suo potere evocativo – tema nodale dell’arte antica e moderna – e al centro della recente riflessione dell’artista, sia in pittura sia in scultura, influenzata, quest’ultima, dalle opere di Alberto Giacometti ammirate alla XXVIII Biennale di Venezia del 1956. La scultura e, infatti, una presenza silenziosa e costante nell’immaginario di Guarienti, il quale già tra gli anni Sessanta e Ottanta modella in bronzo alcune teste e busti e, nei primi anni del Duemila, inizia a dedicarsi con regolarità a quest’arte, scorgendo in essa persino una libertà creativa maggiore rispetto alla pittura, tanto da ideare un proprio personale procedimento operativo, basato sulla combustione della cartapesta e finalizzato a ottenere particolari effetti di leggerezza e scabrosità delle superfici. A questa esperienza fa da contraltare, nei dipinti, il ricorso alla monocromia o comunque a colori dilavati, che lasciano trasparire il supporto sottostante con esiti analoghi alla pittura di Balthus e di Anton Zoran Mušič.
Le grandi mostre
Dopo la mostra itinerante organizzata nel 1997 dal Musée des Beaux-Arts di Caen, dai Musei di Spoleto e dalla Casa dei Carraresi di Treviso (Carlo Guarienti: opere recenti), Guarienti tiene una personale al Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga nel 2000 e nel 2002 espone alla Camera dei Deputati a Roma presentato da Lorenza Trucchi. Paesaggi e autoritratti costituiscono le due polarità del suo lavoro ultimo, raccolto nel 2006 in una mostra curata da Marco Goldin al Grande Miglio nel Castello di Brescia (Guarienti: paesaggi e autoritratti. 1994-2006) (Tav.allegata). I primi, spesso ispirati alla natura del viterbese, hanno fornito il soggetto anche a una serie di monotipi realizzati da Guarienti usando come matrici lastre di rame tenute sottoterra per cinque anni. I secondi, trattati il più delle volte come nudi, tornano ad affrontare il tema dell’identità attraverso un’immagine sempre più indefinita e, contemporaneamente, sempre più tentata dalla terza dimensione. Nel 2006 il suo lavoro è presentato a New York presso la Casa italiana Zerilli-Marimò e nel 2009 a Londra presso l’Italian Cultural Institute (Guarienti: Beyond the Real / Oltre il reale). Nel 2013, nella Loggia Foscara di Palazzo Ducale a Venezia, in concomitanza con la LV Biennale internazionale d’arte, Guarienti espone una trentina di dipinti e quaranta bronzi, questi ultimi realizzati con la collaborazione della Fonderia d’arte Massimo Del Chiaro di Pietrasanta, frutto di sperimentazioni innovative nella lavorazione dei materiali (cartapesta, gesso, legno, ferro, polistirolo) tese a ottenere, con ossidazioni a fuoco, effetti di patinatura molto particolari.
Riannodando un rapporto con il Meridione d’Italia già celebrato nel 1999 con la personale Omaggio alla Puglia a Brindisi, nel 2014 sculture e pitture appartenenti alla produzione più recente dell’artista, caratterizzate da una materia scabra, consunta, incenerita, intessono un dialogo con le testimonianze della storia pugliese conservate nella Pinacoteca Provinciale “Corrado Giaquinto” di Bari. Nell’ambito della produzione grafica, invece, il Museo Internazionale della Grafica di Castronuovo di Sant’Andrea, in provincia di Potenza, ripercorre nel 2016 l’intera carriera, dal 1942 al 2014, di questo maestro storico della figurazione italiana. È invece del 2022, inaugurata al Castello Estense di Ferrara nel giorno del 99° compleanno, la grande mostra Carlo Guarienti la realtà del sogno progetto che ripercorre l’intera carriera dell’artista ideata da Vittorio Sgarbi con una selezione di opere, molte delle quali inedite, curata da Pietro Di Natale, Vasilij Gusella e Stefano Sbarbaro.
L'artista si è spento all'età di cento anni nella sua residenza romana il 4 dicembre 2023.